Marzo e Aprile 2020 sono mesi destinati a rimanere nella storia e nella memoria di tante persone, di tutto il mondo: le misure attuate per contrastare un virus pressoché sconosciuto hanno costretto le persone a non uscire di casa e di conseguenza hanno avuto un impatto dirompente sul mondo del lavoro. Da un lato ci sono stati coloro che, per la specificità dei loro incarichi, non si sono potuti assentare, prima di tutto i medici o le forze dell’ordine; altri hanno visto la sospensione delle loro mansioni, proprio perché non potevano essere svolte se non in presenza fisica, come nel caso del settore della ristorazione. Quasi tutte le altre categorie hanno potuto continuare a svolgere una buona parte della loro attività attraverso strumenti tecnologici: l’utilizzo di videoconferenze è letteralmente esploso in quel periodo, con una coda che tuttora persiste in maniera importante.
Nascita del lavoro ibrido
Il deciso miglioramento della situazione sanitaria ha riportato gradualmente le persone nei loro uffici, ma non come prima: ne sarà più come prima. Entrato a far parte della terminologia di quasi tutte le aziende, il termine “lavoro ibrido” definisce l’alternanza fra l’attività presso gli uffici della società e quella da remoto. Addirittura, in fase di selezione, moltissimi candidati (prevalentemente i più giovani), chiedono al datore di lavoro se è previsto lo smart working: è un segno inequivocabile che in numerose imprese non si ritornerà più a lavorare come prima.
Quasi sempre i cambiamenti forzati non vengono accolti positivamente, tuttavia, nel caso specifico, l’aver lavorato a lungo da remoto ha mostrato una quantità di miglioramenti che nessuno può ignorare. E d’altra parte ci sono stati imprenditori che, appena hanno potuto, hanno immediatamente richiesto la presenza degli impiegati sul luogo di lavoro. L’imprenditore visionario Elon Musk, patron della Tesla, ha recentemente imposto l’ultimatum ai suoi dipendenti ‘tornate in ufficio o lasciate l’azienda’, generando non poche polemiche.
Aristotele diceva che ”la virtù sta nel mezzo” e tale affermazione calza perfettamente in quest’ambito: dove è richiesto in primis equilibrio, maturità, fiducia, da parte di tutti, per beneficiare realmente dei vantaggi che il lavoro ibrido può portare.
Probabilmente, il primo fra tutti, si chiama benessere personale.
Benessere delle persone: ormai non lo si può più ignorare
Uno degli Obiettivi di sviluppo dell’Agenda 2030, riguarda proprio la buona salute e il benessere delle persone (Sdg #3): ovvero garantire una vita sana e promuovere il benessere a qualsiasi età. È ovvio che il lavoro occupa una quantità di tempo assai rilevante per ognuno e visto che forse la maggioranza di chi ha lavorato da casa durante la pandemia ha constatato un’importante riduzione di stress e malessere, è chiaro che non si ha proprio voglia di fare marcia indietro.
A dire il vero il concetto di smart working è già stato adottato da anni da numerose imprese, soprattutto multinazionali, abituate magari dalla casa madre americana a misurare il rendimento delle persone non dalla quantità di tempo che queste trascorrono in ufficio, ma dai risultati portati. Microsoft, una di queste, ha svolto alcune ricerche da cui emerge che il 53% dei dipendenti, dopo la pandemia, dà una priorità maggiore a salute e benessere rispetto al lavoro. Più o meno su queste percentuali sono coloro (prevalentemente sotto i 30 anni) che prenderanno in considerazione la possibilità di cambiare quest’anno il loro datore di lavoro; soprattutto a fronte di un’imposizione di ritornare a lavorare solo in presenza.
Inoltre, il 63% dei dipendenti che sono a contatto con il pubblico, vedono molto favorevolmente l’utilizzo degli strumenti digitali per migliorare lo svolgimento delle loro mansioni. Ritorna quel concetto di Techvision, di una visione in cui la digitalizzazione ha consentito di abbattere barriere, di superare ostacoli logistici, in una prospettiva sostenibile in grado di valorizzare la responsabilità di ognuno.
La stessa ricerca evidenzia che il 58% del personale pianifica di trascorrere la maggior parte del tempo in ufficio per delle attività mirate. Ma ci sono ulteriori sondaggi che confermano la crescita costante dei lavoratori orientati verso un lavoro ibrido, visto come garanzia di un maggiore equilibrio tra vita professionale e vita privata.
Ma non solo: perché la buona gestione di questa duttilità risulta vantaggiosa sia per i dipendenti che per i datori di lavoro. Uno studio condotto da una piattaforma specializzata nella gestione di risorse umane dimostra che la scelta del lavoro ibrido rende i dipendenti decisamente più soddisfatti, rispetto a quanti lavorano esclusivamente in ufficio o solo da remoto.
Si può pertanto parlare di people empowerment, poiché la flessibilità nel lavoro è un sinonimo di una maggiore produttività e quindi di una reale soddisfazione della propria professione.
Si tratta quindi di raccogliere questa opportunità come un forte elemento di innovazione, chi guida verso un ecosistema di imprese e infrastrutture sostenibili, a misura d’uomo resilienti e inclusive, riprendendo l‘obiettivo #9 dell’Agenda 2030.
Lo smart working nelle comunità sostenibili
Che, a ben vedere, risulta un tassello essenziale anche per il raggiungimento dell’obiettivo di creare città e comunità sostenibili (#11): si è già rilevato più volte come l’attività da remoto abbia portato a una radicale diminuzione degli spostamenti con le automobili, quindi minori emissioni di CO2 e inquinamento, aria più pulita, rifiuti inferiori, eliminazione quasi totale di ritardi e dei tempi persi in code. Giusto sui ritardi, si è osservata una puntualità e un rispetto dei tempi con le videoconferenze che “dal vivo” non era neppure lontanamente immaginabile.
La maggior consapevolezza di questi valori da parte dei dipendenti ha portato oggi a un turnover aziendale complessivo assai elevato e di conseguenza i migliori talenti si sentono ben più forti che nel passato e sono disposti a lasciare carriere e stipendi che prospettano guadagni elevati ma pure analoghi ritmi lavorativi, con i conseguenti livelli di nervosismo e affaticamento.
La speranza è che stiano finendo, finalmente, quei contesti in cui il dipendente è un “qualcuno da spremere” per il bene superiore dell’azienda, così come l’azienda (specie se grande) è vista come l’entità da cui arraffare tutto ciò che è possibile per un proprio beneficio personale. Il benessere deve essere sia per l’amministratore delegato che per il fattorino, per il presidente come pure per la centralinista: responsabilità ed equilibrio sono richiesti a tutti, ognuno è chiamato a costruire una cultura di fiducia e flessibilità, a partire dai manager che, in tale situazione, hanno la responsabilità di mantenere collegato tutti i gruppi.
Ribadiamo che dalla negatività del Covid può emergere l’opportunità positiva di avviare efficaci esperienze di lavoro ibrido, utilizzando gli strumenti tecnologici che aiutano a coniugare con successo produttività con benessere personale.