Nonostante il recente rallentamento dell’entusiasmo verso le politiche ESG da parte di alcuni attori di mercato, la sostenibilità resta un elemento imprescindibile nelle strategie di competitività e nella gestione del rischio aziendale. In particolare, quando si parla di decarbonizzazione e di transizione verso modelli economici a basse emissioni, il rischio climatico assume una rilevanza crescente. Tra le sue diverse manifestazioni, il rischio di transizione climatica rappresenta una sfida strategica per le imprese, poiché racchiude una serie di impatti operativi, regolatori e finanziari che possono alterare profondamente la capacità di generare valore nel medio-lungo termine.
Cos’è il rischio di transizione climatica
Il rischio di transizione climatica si riferisce alle potenziali perdite finanziarie e operative che un’azienda può subire durante il processo di adattamento verso un’economia a basse emissioni di carbonio e più sostenibile dal punto di vista ambientale.
Cosa comporta il rischio di transizione
Cambiamenti normativi: nuove leggi, regolamenti ambientali più stringenti, meccanismi di carbon pricing e obblighi di rendicontazione ESG che possono aumentare i costi di conformità e richiedere investimenti rilevanti.
Evoluzione tecnologica: necessità di adottare tecnologie pulite e innovazioni nei processi produttivi per ridurre l’impatto ambientale, con relativi costi di implementazione e rischio tecnologico.
Mutamenti di mercato e sociali: cambiamenti nelle preferenze di consumatori e investitori verso soluzioni sostenibili, con potenziali perdite di quota di mercato per le aziende non allineate.
Rischi legali: contenziosi derivanti dal mancato rispetto delle normative ambientali o da una scarsa trasparenza nella gestione dei rischi climatici.
Impatto sulla catena di fornitura: necessità di rendere le supply chain più sostenibili e resilienti, con aumento di complessità e possibili rialzi dei costi.
Come impatta sulle aziende
L’esposizione a questi fattori può comportare per le imprese la necessità di affrontare adeguamenti infrastrutturali e operativi complessi e costosi, che spesso richiedono una revisione profonda dei modelli di business. Le organizzazioni che non riescono a rispondere tempestivamente al cambiamento rischiano di perdere competitività, di essere escluse da mercati regolati o di vedere compromessa la propria capacità di attrarre capitali e talenti. In alcuni casi, la gestione del rischio di transizione può richiedere il riposizionamento o la messa in sicurezza degli impianti produttivi, specie in settori altamente energivori o ad alto impatto emissivo. Ignorare o sottovalutare il rischio di transizione significa esporsi a perdite economiche, perdita di reputazione, disallineamento strategico e, in alcuni casi, perdita di competitività. Come indica lo studio “The cost of inaction: a Ceo guide to navigating climate risk” del World economic forum (Wef), l’impatto del rischio climatico – fisico o di transizione – potrebbe incidere tra il 5% e il 25% dell’EBITDA aziendale nei prossimi cinque anni. Si tratta di un impatto economico diretto, misurabile e rilevante, che richiede alle imprese una risposta strategica e tempestiva.
Nondimeno, il rischio di transizione con un approccio strategico può diventare anche un motore di innovazione. Le imprese che investono per tempo in sostenibilità, tecnologie green e governance climatica non solo riducono la propria esposizione al rischio, ma possono creare vantaggi competitivi duraturi, migliorare il proprio posizionamento reputazionale e aprirsi a nuove opportunità di mercato.
Il nuovo modello della Banca d’Italia: un salto di qualità nella gestione del rischio

L’integrazione del rischio di transizione climatico nella valutazione del rischio di credito delle imprese non finanziarie ha acquisito una importanza strategica nell’agenda delle politiche climatiche e delle banche centrali. La Banca Centrale Europea (BCE) e l’Eurosistema hanno esplicitamente delineato piani per incorporare tali rischi nei loro quadri regolamentari e nelle operazioni di politica monetaria, riconoscendo la necessità di proteggere i loro bilanci dai rischi finanziari legati al cambiamento climatico.
In questo scenario, la Banca d’Italia ha recentemente pubblicato uno studio pionieristico – n.59/2025 – Modelling transition risk-adjusted probability of default – che introduce una metodologia innovativa per valutare come il rischio di transizione influenzi il merito creditizio delle imprese italiane. Utilizzando dati granulari reali provenienti dal sistema EU-ETS, integrati con informazioni finanziarie e di mercato, l’approccio adottato consente di calcolare la probabilità di default a un anno con un grado di precisione finora non raggiunto dai modelli tradizionali.
L’uso di dati EU-ETS reali consente, infatti, una quantificazione più accurata delle emissioni dirette (Scope 1), fornendo una base più solida per le valutazioni di merito creditizio, in linea con le raccomandazioni della BCE per un’analisi più granulare. Le imprese che superano le loro quote di emissione, assegnate gratuitamente, affrontano costi aggiuntivi per acquistare certificati, mentre quelle che emettono meno possono generare ricavi vendendo le loro quote in eccesso. Questa valutazione bilanciata dell’impatto finanziario è fondamentale per una stima più equilibrata, permettendo di identificare non solo i declassamenti ma anche i potenziali miglioramenti del merito creditizio per le imprese “virtuose.
La forza di questo modello risiede in definitiva nella capacità di distinguere tra aziende penalizzate dai costi delle emissioni in eccesso e aziende che, al contrario, riescono a generare valore dalla vendita di quote non utilizzate. Ciò permette di cogliere con maggiore realismo la sensibilità delle imprese al rischio climatico, superando la logica degli scenari predefiniti e adattandosi a un orizzonte temporale – quello annuale – coerente con le pratiche ordinarie di valutazione del rischio di credito.
GRC evoluto: dove la transizione incontra la governance aziendale
Questa innovazione si inserisce perfettamente nel contesto della Governance, Risk & Compliance, area in cui IMC opera con una visione olistica e orientata alla trasformazione sostenibile. Riteniamo che integrare i rischi climatici nei modelli di rischio finanziario non sia più solo una buona pratica, ma una necessità strategica.
La metodologia illustrata dalla Banca d’Italia contribuisce all’evoluzione dei framework GRC tradizionali, che devono oggi includere, in modo sistematico, i fattori ESG nella definizione dei processi decisionali aziendali e finanziari. Una governance evoluta, supportata da strumenti analitici sofisticati e basata su dati verificabili, consente alle imprese non solo di rispondere in modo più efficace alla complessità normativa, ma anche di anticipare scenari futuri, proteggere il proprio valore economico e rafforzare la fiducia di stakeholder e investitori.
L’approccio IMC: integrazione, tecnologia, impatto
In IMC affianchiamo le aziende in questo percorso, aiutandole a identificare le aree di esposizione al rischio climatico, a integrare la sostenibilità nella strategia aziendale e a dotarsi di soluzioni tecnologiche e metodologiche – come la nostra piattaforma IMC-GRC – capaci di trasformare la compliance in un vantaggio competitivo.
Un approccio integrato, end-to-end, multidisciplinare e orientato al dato è oggi la chiave per affrontare in modo consapevole i rischi di transizione e per cogliere le opportunità che derivano da un’economia in rapida trasformazione.
Sostenibilità, dunque, non solo come imperativo etico, ma come investimento sulla resilienza e sulla competitività futura.
				
															



