Il “digitale” rappresenta, come sappiamo, una vera e propria rivoluzione, dalla quale non si può più tornare indietro, visto l’impatto che ha sulla quotidianità di ognuno. Basti pensare al primo lockdown, dove tutti, ma proprio tutti, hanno sperimentato la necessità di utilizzare strumenti digitali per superare l’isolamento forzato: dalla più semplice videochiamata con il cellulare agli incontri virtuali fra più persone, tramite le varie piattaforme software di videoconferenza.
I termini “DAD – didattica a distanza” e ancor più “smart working”, che prima erano solo per pochi specialisti, sono oggi adoperati con disinvoltura da ogni persona, di qualsiasi fascia d’età: proprio sul tema del lavoro in presenza e a distanza, quasi tutte le aziende stanno rimodulando le loro pratiche organizzative per trovare il bilanciamento ottimale. Con almeno due obiettivi: migliorare la propria efficienza complessiva e favorire il benessere del dipendente, un aspetto che solo alcune imprese particolarmente virtuose hanno finora gestito concretamente. Pare, addirittura, che nei colloqui di assunzione degli ultimi 20 mesi la maggior parte dei candidati chieda al recruiter se è previsto lo smart working.
C’è però un altro termine che questo cambiamento ha contribuito a far circolare e su cui ci si confronta sempre più spesso: riguarda il “digital burnout”.
Cos’è il digital burnout
La traduzione più diffusa è quella di “esaurimento digitale”, ma il verbo inglese in oggetto viene spesso associato alla candela, che più che bruciare si consuma.
Il digital burnout si verifica quando un lavoratore (ma una persona più in generale) vive una situazione di forte stress, che ha origine dall’uso costante di molteplici dispositivi digitali: è uno stato di affaticamento sia fisico che mentale, che non va affatto preso sottogamba, poiché può portare a conseguenze piuttosto serie.
Nei decenni scorsi si parlava di “stress da videoterminale”, per identificare soprattutto i problemi di vista di quanti trascorrevano molte ore davanti allo schermo di un PC; ma nella vita quotidiana ormai ognuno è dotato di un cellulare, a cui si aggiungono spesso tablet, orologi e altri dispositivi con cui interagire. Il burnout digitale è anche legato alla somma dell’utilizzo di tutti questi oggetti.
Quello che infatti era prima un fenomeno piuttosto circoscritto, limitato ad alcune categorie di professionisti, ad esempio gli sviluppatori, attualmente ha una pervasività e una diffusione decisamente elevate: è dunque necessario capire di che cosa si tratta e come porvi rimedio.
Digital burnout: i campanelli di allarme
Ci sono dei campanelli d’allarme piuttosto chiari che vanno considerati: da un punto di vista fisico la stanchezza e la mancanza di energia sono i primi sintomi del digital burnout, solitamente collegati a insonnia, cefalea e altri dolori muscolari, che spesso dipendono dalla postura.
Già da alcuni anni, l’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce il burnout come un fenomeno lavorativo, un fattore che influenza lo stato di salute, evidenziando un distacco progressivo del lavoratore dai propri compiti, a cui si aggiungono pure atteggiamenti negativi, di cinismo, per arrivare infine a una ridotta efficacia professionale. Ulteriori analisi su questo tema hanno riscontrato poi la perdita di motivazione, seguiti dal sorgere di sentimenti di frustrazione che sovente portano a uno stato di ansia, se non di depressione.
In principio fu il Blackberry
Probabilmente tutti coloro che hanno superato gli ‘anta’ si ricordano o hanno addirittura utilizzato il BlackBerry, il rivoluzionario cellulare che integrava la posta elettronica: fu probabilmente il primo dispositivo, con diffusione mondiale, dove la linea di divisione fra vita lavorativa e vita privata diventava così sottile fino a scomparire. Lungi dal colpevolizzare l’ottimo BlackBerry, va però riconosciuto che dall’entusiasmo iniziale del poter leggere e scrivere un’email in qualsiasi momento e da qualsiasi parte, si è poi arrivati alla consapevolezza che l’essere sempre raggiungibili aveva forse qualche controindicazione.
La maggiore flessibilità che il dipendente aveva guadagnato lo ha quasi inconsapevolmente portato a utilizzare la posta elettronica sul cellulare in ogni ora del giorno (e della notte), spesso al di fuori dell’orario lavorativo e durante il weekend. E quando il telefono è diventato uno smartphone, ci si è ritrovati a navigare in internet talora meglio che con il PC, e la mail è diventata solo una delle migliaia di applicazioni disponibili.
Non è quindi esagerato parlare di psicologia del lavoro nell’affrontare queste tematiche: si è ingenerato nei lavoratori stessi un meccanismo perverso per cui, se è probabilmente vero che la tecnologia serve a fare più rapidamente quello che si faceva prima, il tempo “avanzato” viene allora usato per svolgere altre mansioni. Da cui ne deriva l’ansia della performance e di conseguenza la frustrazione se non si raggiungono gli obiettivi.
Come prevenire il burnout digitale
Naturalmente si può prevenire e far fronte al digital burnout con una serie di accortezze e rimedi che è bene adottare: in primo luogo da parte delle aziende, ma altresì da ogni persona che si può comportare in modo da allontanare questo rischio.
La vecchia regola di non stare di fronte al video per oltre un’ora e mezza resta sempre valida: fare una pausa è fondamentale, per un caffè con i colleghi o solo per sgranchirsi e cambiare posizione; è chiaro che in questi momenti è sconsigliabile rispondere alle mail dallo smartphone. Piuttosto lo si usi per telefonare, magari alzandosi dalla propria postazione e passeggiando, idealmente all’aria aperta, quando possibile. È indispensabile che ognuno abbia spazi dedicati a una qualsiasi attività motoria, meglio se sportiva, per il proprio benessere; come va posta attenzione all’uso degli strumenti digitali per lo svago. Leggere un ebook piuttosto che un libro cartaceo non è certo l’ideale per chi ha già passato parecchie ore della giornata davanti a un video, come pure i videogiochi prima di andare a dormire sono un forte ostacolo a prendere sonno.
Il falso multitasking
Si è poi creata una tremenda abitudine, specie durante le riunioni: il cellulare è sempre lì, pronto a vibrare, a notificare che è successo qualcosa. L’always connected ha portato all’always distracted, per cui l’attenzione delle persone cala drasticamente: si tratta di un falso “multitasking” poiché il livello di concentrazione si abbassa, causando un malessere che prima o poi emerge nel dipendente.
In qualsiasi tipo di meeting va quindi disincentivato, se non eliminato, l’uso degli smartphone e dei PC, a meno che ovviamente questi ultimi non servano per il collegamento remoto.
Un modo per opporsi al digital burnout non è fare più mansioni in contemporanea, quanto suddividerle in blocchi distinti, concentrandosi a svolgerle nel modo migliore. Pertanto, rispondere a un’email quasi in tempo reale non è sinonimo di efficienza, ma può addirittura dare l’impressione che non si ha molto da fare, dato che la risposta arriva istantanea.
L’ultimo accorgimento sarebbe forse il più ovvio, ma è in realtà il più difficile da mettere in pratica: la vita lavorativa e quella privata vanno tenute separate e distinte. Quella sottile linea di demarcazione di cui si scriveva prima va non solo mantenuta, ma semmai rafforzata: chi si comporta in tal senso non svaluta affatto la propria serietà professionale, e migliora sicuramente la propria serenità personale e familiare.
In conclusione, l’invito è quello di usare in maniera appropriata e intelligente i dispositivi digitali di cui si dispone, poiché il loro effetto sulla vita e sull’attività di ogni persona sarà più o meno positivo a seconda dell’uso che ne viene fatto.