People empowerment: reskilling o life-long learning?

Per le aziende la formazione dei dipendenti è diventata vitale. Vediamo perché le buone politiche di people empowerment permettono di trattenere e attrarre talenti. E guadagnare punti nei rating ESG.
people empowerment

Il mondo del lavoro è attraversato da complessi cambiamenti che possono essere ricondotti agli effetti della trasformazione digitale e della globalizzazione. Quest’ultima intesa anche come mobilità dei lavoratori, che ha raggiunto un’alta intensità e per alcune professionalità (in particolare quelle del mondo digitale) si è trasformata in vera e propria nomadicità, cioè nella possibilità/capacità per il professionista di poter svolgere il suo lavoro da remoto e quindi da qualsiasi luogo.
Il periodo pandemico, che ha costretto molte aziende allo smart working, ha ulteriormente cambiato i processi e i modelli lavorativi, accelerando un mutamento che però era già in atto.

La digital transformation è stata di grande impatto su prodotti, processi e modelli di business; ha creato nuove professionalità e, in ultima analisi, ha richiesto nuove competenze.

L’avanzare di tecnologie come l’intelligenza artificiale e l’automazione industriale, da un lato decreterà su scala globale la fine di milioni di posti di lavoro obsoleti, dall’altro contribuirà a generarne di nuovi, alcuni dei quali sono effettivamente professioni che prima non esistevano (si pensi a figure come il il cloud architect, il data engineer, il data manager, il machine learning engineer), altri ancora sono vecchi lavori con competenze aggiornate.

Anche lavori manuali come il magazziniere, tra i più richiesti per via del boom di ecommerce, o l’operaio metalmeccanico 4.0, sono professionalità per le quali oggi si richiedono anche delle competenze digitali di base e alcune molto verticali, legate proprio alle mansioni ricoperte.

Reskilling, upskilling, life-long learning: investire nel people empowerment

Un cambiamento del settore lavorativo che non è sufficientemente percepito è la responsabilità, in capo ad aziende e datori di lavoro, di formare le proprie persone, di investire nel ‘people empowerment’, ovvero offrire ai dipendenti una formazione in grado di valorizzarli e farli crescere: ciò comprende sia le cosiddette ‘hard skill’ (le competenze tecniche), sia le ‘soft skill’ (le competenze non tecniche come il problem solving, lo spirito collaborativo, la capacità di lavorare in team).
Molte parole, di matrice anglosassone, ci possono aiutare a capire che forme può prendere l’apprendimento professionale in azienda, che non deve più essere riservato solamente al momento dell’onboarding (inserimento).

Reskilling

Il reskilling coincide con la riqualificazione della persona e delle sue competenze. Tale percorso prevede quindi lo sviluppo di skill – capacità – che permettono al dipendente di ricoprire un ruolo radicalmente diverso o molto diverso da quello attuale.

Upskilling

I percorsi di upskilling hanno invece l’obiettivo di far acquisire al lavoratore dipendente nuove competenze nello stesso campo di lavoro. In pratica è un aggiornamento delle conoscenze per svolgere meglio quello che già fa.

Life-long learning

Più che un modello formativo, si tratta di una filosofia, che dovrebbe essere abbracciata da aziende e dipendenti. Oggi non esiste più un momento in cui le competenze acquisite raggiungono un tetto e sono sufficienti per sempre: le skill di cui necessita un’azienda (e di conseguenza il lavoratore) aumentano tutti i giorni e, per quanto sia a volte necessario inserire risorse nuove, non si può pensare di assumere personale in continuazione. A questo si riferisce il life-long learning: la formazione deve diventare ricorrente, ciclica, un investimento che l’azienda sa di dover fare per poter contare su persone preparate, competitive e gratificate.

Vantaggi del ‘people empowerment’: attrarre talenti e frenare licenziamenti

Uno degli argomenti che circolano recentemente in riferimento al settore lavoro è quello chiamato ‘great resignation’, un fenomeno individuato dapprima negli Stati Uniti – e perciò si continua a chiamarlo in inglese in tutto il mondo – dove secondo i dati dell’US Bureau of Labor Statistics, a luglio 2021 ben 4 milioni di persone avevano dato le dimissioni, la maggioranza in età compresa tra 30 e 45.

Un effetto collaterale della pandemia, che ha fatto scattare una sorta di molla nell’intimo di tante persone che le ha portate a lasciare il proprio lavoro fondamentalmente perché ‘volevano di più’ nella propria vita: un lavoro più soddisfacente, un lavoro localizzato altrove, una carriera imprenditoriale, la voglia di affrontare nuove avventure professionali.

Tutte ragioni che vanno ad aggiungersi ad altre difficoltà già presenti in tante aziende per trattenere ed attrarre talenti.

Sicuramente, il ‘people empowerment’ è un modo di concepire le risorse umane con il quale l’azienda crea le condizioni per trattenere e ‘fidelizzare’ i propri talenti, rimanendo competitiva: oltre alla formazione è importante garantire un ambiente aperto e inclusivo, saper ascoltare i propri dipendenti, garantire la possibilità di mobilità interna e un corretto equilibrio vita-lavoro.
Dal punto di vista dei dipendenti è l’attenzione stessa al benessere delle persone che costituisce un fattore di attrattività, non è un caso che oggi si dia molta importanza a riconoscimenti come la certificazione del ‘Top Employer Institute’, il tema delle risorse umane è di grande rilevanza anche per i rating ESG.

Photo by NeONBRAND on Unsplash

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