La centralità dei processi aziendali nelle strategie ESG

Il connubio fra comportamenti etici e il seguire i processi che guidano verso il raggiungimento degli obiettivi aziendali, si sta affermando come la giusta modalità da seguire, come confermano i risultati di tale approccio

La gestione dei processi aziendali, solitamente schematizzata con l’acronimo BPM (Business Process Management), è cruciale per il buon andamento di ogni organizzazione, dato che riguarda tutti i suoi ambiti primari: in particolare è utile per comprendere la capacità di ottenere benefici legati all’efficienza, all’efficacia, alla qualità, all’innovazione e alla conformità. Il BPM si è naturalmente evoluto ed è cambiato nel corso degli anni, pur mantenendo il focus sull’ottimizzazione e il miglioramento delle attività aziendali.
Di recente è stata osservata un’evoluzione in questa materia, con l’inserimento di nuove idee e ulteriori pratiche, come la metodologia Agile, la gestione snella (lean management) e la responsabilità di processi sostenibili.

È sempre più consolidata l’attenzione delle Imprese alle tematiche ESG (Environmental, Social e Governance), tant’è vero che crescono i bilanci d’impatto che queste redigono ogni anno: non solo la rendicontazione ESG è aumentata, ma tale reportistica diventa spesso uno strumento che orienta alla circolarità, per superare i limiti riconosciuti del tradizionale approccio all’economia lineare.

La crescente consapevolezza della sostenibilità tra imprese, fornitori e clienti finali ha creato una sorta di circolo virtuoso, che evidenzia come una strategia ESG diventi imprescindibile per andare verso reali benefici collettivi. Un indicatore significativo di questa tendenza è dato proprio dal settore finanziario, dove si è notata la maggiore propensione da parte dei professionisti degli investimenti a diventare più “socialmente responsabili” per quanto riguarda la scelta degli investimenti e la composizione complessiva dei loro portafogli. È infatti interessante osservare come oggi vengano utilizzate diverse “misure non finanziarie” per decidere quali società sostenere e, pertanto, le strategie ESG sono diventate uno degli indici basilari dei rendimenti a lungo termine.

Parametri che fanno la differenza

I consumatori e le grandi Corporation: alcuni analisti hanno visto in essi i principali artefici del cambio di prospettiva per l’attuazione di scelte realmente sostenibili. Nel primo caso si è sovente visto come la voce degli utenti si sia alzata contro brand che non rispettavano né tutelavano il lavoro e l’ambiente: d’altro canto ci sono stati marchi che, o spinti dalle critiche ricevute o da una volontà imprenditoriale, hanno decisamente intrapreso un percorso di reale attenzione ai criteri ambientali, sociali e di governance, ESG per l’appunto; che hanno poi avuto ripercussioni nei rapporti con i fornitori, anch’essi invitati ad attuare scelte in ottica di sostenibilità.

Quando infatti i primi nomi di spicco, in ogni settore, hanno deciso di intraprendere la strada per la riduzione del loro impatto ambientale, alcuni diventando società benefit piuttosto che B-Corp, altre imprese hanno quanto meno rivisto le proprie posizioni: si è quindi verificato un effetto domino nell’attuazione progressiva di nuovi cambiamenti che impattano i processi aziendali, specie se radicati da decenni.

Dunque, molti processi aziendali, sia interni che esterni, hanno iniziato a trasformarsi per attuare quei valori come il benessere personale, sociale, ambientale che, in ultima analisi, conducono a risultati positivi per l’organizzazione dove si opera: le conferme arrivano da più parti, come ad esempio dal Rapporto GreenItaly di Fondazione Symbola e Unioncamere, pubblicato a fine ottobre, che parla di oltre 531mila aziende italiane che hanno investito in tecnologie e prodotti green negli ultimi 5 anni.
I risultati economici rivelano che le imprese “eco-investitrici” si dimostrano ad esempio più dinamiche sui mercati esteri rispetto a quelle che non investono: inoltre percentualmente aumentano di più il fatturato (49% contro 39%), come pure le assunzioni, riuscendo ad attrarre e mantenere più facilmente le persone, grazie appunto a un ambiente complessivamente di qualità. Un “ambiente sano”, come qualcuno si è sbilanciato a definire un contesto di questo genere.

Diversi studi avvalorano tutto ciò: ad esempio una ricerca accademica inglese del 2021, da parte del Journal of Sustainable Finance & Investment, aveva valutato l’incidenza sulle prestazioni finanziarie da parte delle variabili legate alla sostenibilità aziendale e alle politiche ESG. Oltre a parlare del miglioramento della reputazione, riduzione del costo del capitale e aumento dell’efficienza, gli autori del rapporto, in un’analisi quantitativa, affermano che le imprese che inseriscono pratiche di sostenibilità all’interno dei loro processi possono raggiungere risultati finanziari migliori di quelle che non lo fanno. Svolgere attività sostenibili ed ecologiche non è quindi solo per un interesse sociale e ambientale, ma anche per il bene stesso dell’azienda.

La Fondazione Sodalitas ha istituito un osservatorio sulla Sostenibilità Sociale d’Impresa (SSI), dal cui primo rapporto emerge la necessità, per non dire la responsabilità, che le Aziende mettano le persone al centro delle loro strategie, attraverso i processi di business: riconoscerne i bisogni, facendosi carico del disagio e rispondendo alla domanda di benessere, sia all’interno dell’azienda (i dipendenti) che all’esterno (le comunità di appartenenza).
Vi sono infine alcune organizzazioni di rating, come ad esempio Deloitte o Standard & Poor’s, che utilizzano una serie di indici per monitorare e quantificare l’impatto sociale e ambientale di un’azienda, valutando inoltre la sua governance nel tempo: sono attività di una certa complessità, ma che indicano chiaramente come la gestione dei processi chiave di un’azienda debba annoverare le metriche ESG nelle valutazioni complessive, soprattutto di carattere finanziario.

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